Oggi siamo inondati da una fiumana di parole d’ogni genere. In un mondo così fatto, come si può continuare a rispettare la parola che ha perduto il suo potere creativo e la sua funzione comunicativa che alimenta la concorde comunione tra le persone? Quando le parole umane non sono più il riflesso della Parola divina che ha creato il cosmo e continua a ricrearlo, esse, perdendo il loro fondamento e il loro significato diventano false e ingannevoli. Pensiamo allora alla parola-fonte che definisce Dio: Amore!
Per i Padri del Deserto, la parola che nasce dal silenzio è lo strumento del mondo presente; il silenzio, che custodisce la parola, è il mistero del mondo futuro. La parola dell’uomo nasce e fruttifica se è innestata nel silenzio di Dio. Quando l’intelligenza non è più filtrata dal silenzio del cuore, genera un tumulto di confuse e insipienti idee che non sgorgano dal silenzio fecondo dello Spirito. Le tante parole dette e molte volte urlate, dicono nient’altro che insignificanze noiose, dubbiosità impigrite e incredulità verbose. La parola che non è radicata nel silenzio è inefficace, è “come bronzo che rimbomba o come cimbalo che strepita”(1Cor 13, 1) scrive san Paolo parlando della carità.
Creazione e Redenzione si compiono nel grembo del silenzio trinitario. Dio onnipotente, con la sua Parola, in sublime bellezza e ricchezza, crea tutte le cose visibili e invisibili. Al culmine dei tempi, mentre un profondo silenzio avvolgeva tutto il creato, il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo in noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità (Gv 1,14). Dalla grotta di Betlemme andiamo al Calvario. L’evangelista Giovanni, dallo strazio fisico della morte di Gesù, fa trasparire la Regalità del Messia: cuore del mistero in cui, nel silenzio, si rivela l’Agape di Dio. Il carattere messianico vittorioso della morte avrà il suo culmine nella Risurrezione. Gesù entra nell’ora della sua morte quando, nel misterioso silenzio del Padre, prima di chinare il capo e spirare, dice l’ultima parola: Tutto è compiuto (19,30). La croce del Golgota diventa il trono glorioso di un Regno che non avrà mai fine: Regnavit a ligno Deus. Dal silenzio di questo drammatico stupore, nel cuore d’umiliazione della Kenosis nasce la Chiesa di Cristo.
San Giovanni della Croce, parlando di Dio come di colui «il cui solo linguaggio è l’amore silenzioso», scrive: «Il Padre non dice che una sola Parola, ossia il suo Figlio, e la dice in un silenzio eterno. L’anima, quindi, deve udirla nel silenzio» (Massime 147). Dio, nessuno l’ha mai visto (Gv 1,18) e ancora: Nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il figlio vorrà rivelarlo (Mt 11,27). Il Padre si svela e il Figlio è la Parola che lo rivela. Ben sappiamo che l’ascesi del vuoto conduce a un freddo mutismo che ascolta soltanto se stesso. Il fuoco dello Spirito, invece, riversando nel cuore umano l’acqua viva del Verbo, trasfigura il silenzio in ascolto della Parola per l’incontro con l’ineffabile mistero divino che rende capaci di parlare la stessa Parola di Dio. Soltanto così la parola umana si trasforma in preghiera come dialogo con Dio in cui l’ascolto della sua Parola si armonizza con la risposta d’amore della nostra fede. Il silenzio diventa così colloquio d’amore orante tra le due intimità, la divina e l’umana.
San Luca nel suo Vangelo ci descrive quel momento commovente in cui, dal silenzio della preghiera di Cristo, sgorga spontanea la richiesta di uno dei suoi discepoli: Signore, insegnaci a pregare (11,1).Dal cuore silente di tutti i discepoli di Gesù dovrebbe sempre sgorgare spontanea la stessa struggente invocazione che chiede al Maestro il vero modo di rivolgersi a Dio con lo stesso melos con cui il Figlio si rivolge al Padre. Lo Spirito d’Amore che nell’eterno silenzio procede dal Padre e dal Figlio, nel silenzio dell’orante feconda e illumina la preghiera del Pater che Cristo ci ha insegnato.
Da questa preghiera nascono le molteplici preghiere di lode, di supplica e di rendimento di grazie, e anche la stessa preghiera d’Israele, assunta da Cristo e dalla Chiesa primitiva, soprattutto con il canto dei Salmi.
In una società loquace e parolaia il silenzio può diventare realtà temibile che crea o disagio e alienazione egoistica oppure verbosità snervante, nevrotica e distraente. Il vero silenzio è qualità del cuore che rivela la verità nella carità. Oggi, nelle celebrazioni liturgiche, quella sorta di religioso frastuono festaiolo e divertente diventa rischio pericoloso che serve soltanto a riempiere il vuoto di fede che urla verso una sorta di un “dio idolo”. Il silenzio orante è apertura di cuore alla parola di Dio. Nella Lettera ai Romani san Paolo ci istruisce che se con il cuore si crede con la bocca si canta la fede! È il silenzio fecondo che richiede un cuore capace di aprirsi a ogni comunione di vita e, dilatato dal fuoco della carità divina, provoca quell’impulso che è testimonianza e annunzio delle meraviglie che l’Amore di Dio opera nel credente.
Il silenzio, dunque, non è mutismo del vuoto interiore o incapacità di comunicare per motivi psicologici, ma l’alveo fecondo dell’amore divino da cui la parola attinge l’energia del pensiero e l’efficacia dell’incantum che esprime la festa del Paradiso, lì dove si vive eternamente immersi nel silenzio di gloria dell’amore adorante e contemplante.
La celebrazione dei Santi Misteri celebrati nella divina Liturgia è anticipazione e pregustazione del vivere paradisiaco. La celebrazione liturgica è evento di silenzio interpuntato da due vibrazioni di luci sonore: il Verbo del Padre che viene a noi nel sacramento e la nostra lode che s’innalza a Dio come profumo d’incenso. Il silenzio è luce che fa risplendere la Parola affinché diventi vivificante; nel silenzio, la luce fa germogliare la Parola nel cuore del credente perché si trasformi in canto di lode, di supplica e di rendimento di grazie. Il canto diventa l’ornamento del testo che ri-dice la Parola per rivelare le sublimi verità. Col canto della Liturgia, dunque, non si è esecutori in concerto per spettatori, ma ministri oranti che, attraverso il nobile e semplice linguaggio musicale, offrono a Dio, con intelligenza spirituale, le lodi che immergono nel silenzio in splendore del suo amore eterno e infinito.
Giuseppe Liberto