TRASFIGURATI IN CRISTO

Illuminati da san Paolo, contempliamo il sublime mistero della Trasfigurazione con lo sguardo del cuore. L’Apostolo ci istruisce che soltanto nell’ultimo giorno il nostro povero corpo sarà trasfigurato per essere pienamente conformato al corpo glorioso di Cristo (cf Fil 3,21). San Paolo ci esorta che la vita di Gesù, già al presente, si manifesta nella nostra carne mortale (cf 2Cor 4,11.17), e la sua trasfigurazione si compie in noi ogni giorno: E noi tutti, a viso scoperto, contemplando come in uno specchio la gloria del Signore, siamo trasformati nella sua stessa immagine, di gloria in gloria, secondo l’azione del Signore, che è lo Spirito (2Cor 3,18). Il termine metemorphothe non corrisponde al concetto greco di “metamorfosi”, esso indica soltanto che sul Tabor Gesù cambiò aspetto. L’esperienza dei discepoli è un’anteprima della gloria che sarà propria di Cristo alla fine dei tempi, nella pienezza del regno di Dio.

Non è il colore materiale della luce, ma lo splendore della gloria divina che fa rispendere il volto di Gesù come il sole e le sue vesti come la luce (cf Mt 17, 2). La gloria che Gesù aveva annunciato sei giorni prima a Cesarea per la fine dei tempi, è anticipata ora sotto lo sguardo incantato dei tre discepoli. Se la gloria appartiene a Dio, perché unico veramente santo, ora essa risplende sul volto di Gesù, non come riflesso della gloria di Dio, come fu per Mosè, ma come splendore che rivela l’intima sua identità divina.

Il significato della “cristofania” come epifania di Dio si può capire soltanto nell’ambito in cui gli evangelisti la raccontano. I discepoli non comprendono come mai la vita possa nascere dalla morte, così come la Gloria possa essere nascosta nella Croce. Nella visione di quella trasfigurata bellezza in splendore di Luce, Dio concede ai discepoli di intravedere ciò che il viaggio di Gesù verso la croce nasconde.

Accanto a Gesù Trasfigurato ci sono Mosè ed Elia che rappresentano la Legge e i Profeti. Essi parlano di Gesù come compimento di ogni promessa di Dio. Ambedue sono stati assunti in Cielo senza fare l’esperienza della morte (cf Dt 34,6; 2 Re 2,11). Con la loro apparizione in questo monte, nuovo Sinai, annunciano che è giunto il tempo della Nuova Alleanza. I due Profeti, avendo percepito l’avvento della Gloria divina, ora possono lasciare la grotta del Sinai senza velarsi il volto e contemplare quel Corpo trasfigurato indicandolo come Colui al quale intendevano riferirsi nelle loro profezie.

Nella Trasfigurazione spiccano due momenti: la reazione di Pietro e la misteriosa voce del Padre. Pietro, contaminato dalla cristologia trionfalistica e affascinato dall’evento straordinario, trascura la cristologia del Figlio dell’uomo che deve soffrire molto, essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, essere messo a morte e risorgere il terzo giorno (Lc 9,22). L’apostolo, che aveva appena professato la sua fede in Gesù e che subito dopo si era opposto al suo annunzio, ora è incantato e, restando sul monte, desidera rendere eterna l’esperienza di quella visione paradisiaca. Quello di Pietro è solo desiderio umano e spontaneo che manifesta incomprensione sul significato dell’evento, che non è inizio del definitivo ma anticipo profetico e fugace di esso. La vocazione del discepolo, infatti, è quella di percorrere la strada del provvisorio e della croce.

Battesimo e Trasfigurazione hanno la stessa voce, quella del Padre. Nel Battesimo afferma: Tu sei il mio Figlio prediletto, in te mi sono compiaciuto (Lc 3,22). Nella Trasfigurazione, confermando la predilezione verso il Figlio, il Padre dice: Ascoltatelo! (Lc 9,35). Nella Bibbia il verbo “ascoltare” non significa soltanto “udire”, ma equivale spesso a “obbedire” a quel che annunziato (cf Es 6,12; Mt 18,15-16). Ora a quelle parole si aggiunge il comando di ascoltare. Ai discepoli dubbiosi e timorosi, Dio in persona parla e dice che essi devono ascoltare, obbedire, avere fiducia in Gesù e seguirlo sulla via che ha intrapreso, cioè quella della croce gloriosa che culminerà con la passione, morte e risurrezione.

Pietro, attratto dalla bellezza del Trasfigurato, con reazione umana e simpatica, esclama: Signore, è bello (kalòn) che noi siamo qui (Mc 9,5; Mt 17,4; Lc 9,33). Nel racconto della creazione troviamo lo stesso aggettivo che specifica la percezione della realtà che si sta gustando. Cristo trasfigurato si manifesta in forma divina e il divino si rivela attraverso la bellezza dell’umano. Fede e bellezza sono dono di Dio all’uomo. E’ meraviglioso notare come il Logos creatore, incarnandosi, passò tra gli uomini realizzando amore e operando il bene, cioè il “Buono”. E quest’amore vissuto sino in fondo ci ha manifestato la Gloria attraverso il “Bello”. Nella Trasfigurazione l’esperienza estetica si trasforma così in visione estatica.

La gloria di Dio si rivela soprattutto nell’elevatio crucis come exaltatio gloriae. Questo mistero di discesa-ascesa di Gesù è magnificamente cantato nell’inno della lettera ai Filippesi in cui la Gloria è manifestata apertamente e definitivamente affinché ogni lingua acclami: Gesù Cristo è il Signore a gloria di Dio Padre (Fil 2,6-11). La sinfonia glorificatrice raggiunge il suo vertice nella seconda lettera ai Corinzi, in cui Paolo, con ardito contrappunto in splendore di bellezza, elabora un trittico elevatissimo. Dalla gloria di Dio alla sua rivelazione in Cristo, passa all’instaurazione della nuova alleanza in cui i battezzati sono trasfigurati in immagine di Cristo di gloria in gloria. Il canto, modulato all’interno del discorso di Paolo sul ministero apostolico, armonizza croce e gloria, sofferenza e vittoria, tutto irradiato dallo splendore del glorioso vangelo di Cristo che è immagine di Dio (2Cor 7,18; 4,4).

Ogni riflessione sulla bellezza non può prescindere dal puntare lo sguardo sulla “Gloria”. In ebraico il termine richiama il concetto di “peso”, di “onore”. Riferito a Dio, indica la visibilità della sua manifestazione: il “peso” dello splendore della sua presenza nella creazione (Sal 19,2; Is 6,3), nella storia (Es 14,17-18; Sal 96,3), nel santuario (Es 40,34-35; 1Re 8,10-11; Sal 26,8). La Santa Scrittura, parlando di “Gloria”, fa riferimento soltanto alla “Gloria di Dio”. Nella Trasfigurazione, nella Risurrezione e nel Ritorno glorioso, la “Gloria” è attribuita a Cristo.

Nella scuola per i pittori sul Monte Athos, ogni iconografo-monaco, dopo avere eseguito le varie istruzioni liturgiche, teologiche e tecniche, nell’esame conclusivo doveva dipingere l’icona della Trasfigurazione. L’allievo mostrava così la sua capacità di saper realizzare, con l’arte raffinata della luce, il mistero nella visione di splendore anticipata dell’“ottavo giorno” dopo la gloriosa risurrezione dai morti così come lo avevano visto i tre apostoli sul Tabor. Quest’esperienza della visione-ascolto trasfigurante, che conduce a poter essere assimilati all’oggetto contemplato, esige, in effetti, la capacità di saper percepire nello stupore la gloria di Dio gustando e assaporando la libertà ricevuta. Al dono della gloria-bellezza deve corrispondere da parte dei credenti l’impegno di comportarsi come figli della luce, rivestiti di Cristo, Luce del mondo (cf 1Ts 5,4-5; Rm 13,12-14; Ef 5,8).

La trasformazione in luce, anzi, in splendore di gloria secondo l’azione dello Spirito, è trasfigurazione in bellezza teandrica: il Verbo, immagine-splendore del Padre, si è fatto uno di noi; lo Spirito, immagine-splendore del Verbo, è dato a ciascuno di noi; l’uomo, immagine-somiglianza di Dio, è divinizzato dal Verbo fatto Carne nello Spirito che è Dono. La visione-ascolto della Trasfigurazione ci libera dalla paura della Croce e dall’indifferenza della Risurrezione; ci invita a evitare ogni forma di trionfalismo e di superficialità e ci stimola, altresì, a percorrere la via della croce non con la sfiducia della rassegnazione ma con l’entusiasmo della speranza. Vivendo nella storia, solo se trasfigurati in Cristo, i battezzati saranno capaci di trasfigurare il mondo in Cristo.

Giuseppe Liberto