Solitudine: parola amara che lacera l’anima e riempie il cuore di paura. Essa è l’espressione di una delle più gravi afflizioni dell’uomo. È come un clima gelido che illanguidisce le energie della volontà, oscura la luce dell’intelligenza, spegne l’ottimismo del cuore. La solitudine non è soltanto mancanza di compagnia e isolamento esteriore, essa è soprattutto vuoto e abbandono interiore.
All’interno della civiltà contemporanea, tanto ricca di forme associative, tale situazione interiore è più diffusa di quanto non si pensi. L’uomo, in preda a questo vuoto interiore, ha paura di stare con se stesso e va in cerca di sedativi, di distrazioni, di evasioni, di droghe che riescano ad appagarlo. È vero che il male della solitudine è il vuoto che porta l’uomo al limite della debolezza e dell’impotenza, però, se avrà la forza di aprire il cuore alla ricerca del mistero, la creatura umana troverà in Dio la sorgente della speranza e la fiducia nella vita. La solitudine, allora, potrà diventare condizione favorevole e, persino, stato privilegiato per assaporare la presenza di Dio che in modo definitivo può riempire il vuoto interiore che nessuna realtà creata può riuscire a colmare.
L’uomo, da sempre ha avuto bisogno assoluto di Dio e la solitudine di chi vive senza Dio è la più paurosa e pericolosa. Fecisti nos, Domine, ad Te et inquietum est cor nostrum donec requiescat in Te. È questo il grido accorato di sant’Agostino in ricerca di Dio Bellezza e Verità, Bontà e Amore. Soltanto in quest’apertura di cuore, il vuoto dell’umana miseria si trasforma in pienezza di Dio. La solitudine, allora, da tragica diventa beata: «O beata solitudine – esclama san Bernardo – mia sola beatitudine!».
Gli asceti ci istruiscono che i gradi della beata solitudine sono tre: solitudine degli uomini, solitudine del silenzio e solitudine del cuore.
Solitudine degli uomini
Non si tratta di misantropia o isolazionismo. I Greci, già nel VI secolo a.C., per bocca di Anassagora, dichiararono che lo scopo della vita è la scienza del conoscere, quindi è necessario favorire la migliore facoltà umana che è l’attività della mente, aiutandola a risalire fino a Dio che è la piena intellegibilità. Non bisogna dimenticare che i primi “eremiti” furono i Greci, i quali, proprio perché filosofi di razza, compresero la necessità della solitudine. Scrive Platone: «Come in tempo di burrasca ci si mette al riparo dietro un muro, così ci si volge verso quella città che ciascuno porta dentro di sé». Plotino chiude così le sue Enneadi: «Tale è la vita degli dei e degli uomini divini: svincolarsi da tutto il resto, liberi da tutte le cose di quaggiù, vita inaccessibile al piacere delle cose presenti, fuga del solo verso il Solo». Per questi filosofi, la solitudine degli uomini serve al bene dell’intelligenza, della conoscenza e della contemplazione. I cristiani, però, non possono amare la solitudine per se stessa perché sarebbe in contraddizione col primato della carità. Sant’Ireneo, infatti, per combattere gli agnostici, scrive: «Il principale dovere della carità è più prezioso della conoscenza, più glorioso della profezia, supera tutti i carismi».
Tutto l’insegnamento del Nuovo Testamento è fondato sul principio che la perfezione cristiana consiste nel vivere la carità senza confini che ci introduce nel Mistero di Dio (cf Lc 10,25-38; Mt 25,31-46. 5,44; 1Cor 13; 1Gv 4,16). Tutto nella Chiesa parla di koinonia edi agàpe che sono armonia di comunione. La solitudine è mezzo eccellente per giungere alla sublime comunione con Dio e i cristiani uniti tra di loro in Dio. Se i filosofi greci puntano lo sguardo sul valore dell’intelligenza ricercando la solitudine per filosofare, i mistici cristiani cercano la solitudine per vivere l’amore nel suo supremo esercizio.
L’esempio di Gesù che si ritira a pregare spesso e da solo in luoghi deserti, ci fa capire che nella solitudine del deserto di Dio l’uomo ritrova se stesso e accoglie gli altri come fratelli.
Solitudine del silenzio
Non è il silenzio della natura, non è il mutismo dell’umano orgoglio, non è il falso tacere della menzogna, non è la taciturnità congenita né il vuoto dell’ignoranza, il silenzio è pienezza di solitudine interiore. È il silenzio dell’Eterna Infinita “silente Trinità”. Dall’eterno silenzio Dio crea il cosmo. Dall’eterno silenzio del Padre scaturisce il Verbo eterno come irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza (Eb 1,3): Mentre un profondo silenzio avvolgeva tutte le cose, e la notte era a metà del suo rapido corso, la tua parola onnipotente dal cielo si lanciò in mezzo a quella terra (Sap 18,14-15). San Giovanni della Croce scrive: «Il Padre dice una sola Parola: è il suo Verbo, il Figlio suo. La pronunzia in un eterno silenzio ed è solo nel silenzio che l’anima può intenderla». San Gregorio Nazianzeno propone di insegnare a controllare la parola esercitandosi a tacere. In effetti, le vere parole che incidono si staccano sempre da un fondo di silenzio. La verità ama il silenzio e di esso si nutre. È il silenzio che insegna ad ascoltare, a usare saggiamente della parola e a fraternizzare nel dialogo. Il silenzio, infatti, è definito “padre dell’ascolto”. Il frastuono logora le facoltà interiori rendendo l’uomo superficiale, rozzo e violento. La musica e il canto, sublimazioni del pensiero e della parola, nascono dal silenzio e nel silenzio si offrono in dono. Il Salmo 141 ci fa pregare: Poni, Signore, una custodia alla mia bocca, sorveglia la porta delle mie labbra (v. 3). Dalla preghiera del silenzio nasce la lode: Signore, apri le mie labbra e mia bocca proclami la tua lode (Sal 50,17).
Gli asceti danno grande significato all’efficacia spirituale del silenzio. Ascoltiamo Isacco di Ninive in un brano tratto dal De perfectione religiosa: «Più di ogni altra cosa ama il silenzio; esso ti reca un frutto che la lingua è incapace di descrivere. Da principio siamo noi stessi a imporci di tacere, ma in seguito, dal nostro stesso silenzio sorge qualcosa che ci trascina al silenzio. Dio ti doni il sentimento di questo qualcosa che nasce dal silenzio!». Nei due silenzi, quello di Dio e quello che dalla creatura sale a Dio, si compie la sublime comunione teandrica: Silentium meum loquitur tibi, afferma l’Imitazione di Cristo.
Solitudine del cuore
Soltanto chi ama di purissimo amore sa percepire la parola nella solitudine del cuore. Il termine “cuore” esprime l’unità dell’essere umano armonizzando corpo e anima, azione e spirito. Il cuore dice la profondità dello spirito all’interno del corpo. Il cuore è la fonte della personalità cosciente intelligente e libera dell’uomo. Per trovare Dio occorre cercarlo e amarlo con tutto il cuore. Il cuore è il punto d’incontro tra Dio e l’uomo: L’uomo guarda all’apparenza ma Dio guarda il cuore (1Sam 16,7). La purezza interiore diviene così requisito fondamentale per vedere Dio: Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio (Mt 5,8). Non si tratta di vedere lo spettacolo di un Dio in nicchia, ma di partecipare alla divina liturgia della beatitudine eterna.
Gli stoici, avendo intuito il vero male dell’uomo, volevano guarirlo con cure contrarie all’uomo stesso; essi, infatti, si sforzavano di spegnere in loro la sorgente dell’affettività come contraria alla ragione e alla natura. Avevano indovinato la diagnosi, ma sbagliavano la terapia e la posologia. Mancava la Rivelazione! Però i tempi erano maturi per accoglierla. I cristiani invertiranno il senso del movimento degli stoici, distogliendolo dalle creature e volgendolo al Creatore. La vita cristiana non ha che un solo scopo: la salvezza eterna conquistata attraverso la perfezione della carità (cf LG 39-42). L’unica sapienza e l’unico dovere consiste nel vivere quello stile di vita che consente all’uomo di realizzare la carità con cui si ama Dio sopra ogni cosa e il prossimo per amore di Dio.
Lo sguardo vitale e luminoso dell’occhio puro ha la sua radice nel silenzio del cuore. Il dolce richiamo di Gesù a Marta, infatti, non è disapprovazione per le sue doverose premure d’ospitalità ma paterna ammonizione a lei che vuole distogliere la sorella dall’attività spirituale in cui si trova: il dialogo d’amore con Gesù nella solitudine del cuore. Il Maestro non disprezza l’attività di Marta, la mette soltanto al suo giusto posto, cioè, in rapporto e in dipendenza da quella di Maria che ha scelto la parte migliore, quella che non le sarà tolta (cf Lc 10, 38-42), dando così significato e valore a quella di Marta. E ancora Gesù ammonisce: Quando tu preghi, entra nella tua camera, chiudi la porta e prega il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà (Mt 6,6). Cos’è il “segreto” se non la solitudine del cuore, luogo privilegiato in cui il Padre che è nei cieli incontra i suoi figli amatissimi? Oggi, le sceneggiate pubblicitarie dell’apparire teatrale con una mal compresa “Chiesa in uscita”, porta sempre alla non comprensione della missione universale data agli undici apostoli: Andate e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi comando. Io sono con voi tutti i giorni sino alla fine del mondo (Mt 28, 19-20).
Giuseppe Liberto