Il 29 giugno è festa dell’apostolicità della Chiesa: Pietro, fondamento della fede cristiana, è forza e speranza nella missione dell’apostolo/chiesa. Paolo, annunziatore del vangelo nella missione salvifica universale, è fondamento e fiducia nella fede dell’apostolo/chiesa.
Pietro e Paolo, messaggeri del vangelo, testimoni e martiri del Signore, sono, come ci fa cantare l’antifona d’Ingresso, “i santi apostoli che nella vita terrena hanno fecondato la Chiesa, con il loro sangue, hanno bevuto il calice del Signore e sono diventati gli amici di Dio”. La loro vita e la loro missione si sono configurate al mistero supremo di Cristo, crocifisso-risorto. Il loro martirio è il sigillo ultimo di un amore senza limiti.
Le tre metafore del primato di Pietro
La Chiesa di Cristo non è massa indistinta di fedeli anonimi, isolati e dispersi ma comunità ecclesiale fondata sulla “roccia Cristo” che è sempre presente in mezzo ai suoi. Cristo sceglie Pietro col compito di unificare e sostenere l’unica sua Chiesa. L’evangelista Matteo ci offre tre illuminanti metafore che mettono in risalto il primato di Pietro: la roccia, le chiavi, il legare-sciogliere (cf Mt 16,13-20).
– “La roccia”, dal nome aramaico “kefa”, è il termine con cui Cristo rinomina Simone chiamandolo Pietro e gli affida la sua missione. Nel mondo semitico, cambiare nome significa orientare la persona verso un altro destino. Pietro è la “roccia” che tiene salda la Chiesa. Su questa roccia il Cristo, “pietra angolare” insostituibile, getta le basi dell’edificio-Chiesa, segno visibile di Cristo che è la vera roccia perché è l’unico mediatore che costruisce la “sua Chiesa”. Pietro e gli apostoli sono le “fondamenta” (cf Ef 2,20).
– “Le chiavi” sono il segno del governo e della responsabilità di una casa. Pietro diventa, non il fondatore o il proprietario, ma il vicario e il fiduciario della Chiesa. Egli è segno di Cristo vero capo e unico pastore della comunità messianica.
– “Legare e sciogliere”, proibire e permettere, separare e perdonare: Pietro ha tutte le prerogative che si leggono nella Bibbia e che sono attribuite al Messia. Gesù stabilisce nella Chiesa un’autorità che ha origine e destino divino. Pietro, insieme agli altri apostoli, è costituito interprete autorizzato della legge divina, guida all’amore e alla giustizia nelle decisioni storiche. La missione che riceve da Cristo, Pietro non la eserciterà come monarca o, peggio, despota di un potere-dominio ma come fedele servizio alla fede e all’amore per l’unità della stessa Chiesa. Pietro dovrà rendere alla comunità questo servizio.
Alle due domande d’amore e di fede che Gesù gli rivolge, Pietro dà due risposte di amore e di fede, da cui scaturisce il mandato.
Domanda: Mi ami tu? Risposta: Tu sai che io ti amo. Consegna: Pasci le mie pecorelle.
Domanda: Chi dice la gente chi io sia? Risposta: Tu sei il Cristo, il figlio del Dio vivo.
Consegna: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa.
La triplice domanda d’amore rimanda al triplice rinnegamento in quella notte del tradimento.
– Pasci le mie pecorelle. Gesù è il Pastore per eccellenza. Innanzi tutto perché le pecore gli appartengono, poi perché le conosce singolarmente. Questa conoscenza è reciproca ed è così intima che Gesù la paragona a quella che unisce Lui al Padre. Il motivo profondo sta nel fatto che egli offre la vita per il suo gregge. Gesù è il vero Pastore che conduce e riunisce il suo gregge per fare un solo ovile sotto un solo pastore(cf Gv 10,11-18). Nella vita della Chiesa, Pietro diventa il responsabile visibile dell’unità del gregge di Cristo.
– Tu sei Pietro. Il fondamento per cui Pietro è la “roccia” sulla quale è costruita la Chiesa di Cristo, poggia sulla confessione di fede che l’Apostolo ha fatto per primo a nome del gruppo degli apostoli: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente” (Mt 16,16). Pietro, da solo, sarebbe stato incapace di percepire e riconosce con assoluta chiarezza Cristo Figlio di Dio e Messia. Questa percezione è solo dono del Padre. L’amore fedele e la fede ricolma d’amore lo condurranno al martirio. Nel mandato e nel martirio, Pietro manifesta l’amore di Gesù verso i discepoli e verso quelli che, attraverso la loro parola, crederanno in lui.
Le quattro metafore della vocazione di Paolo
Giunto al termine della sua vita, Paolo, scrive al suo fedele Timoteo, responsabile delle comunità ecclesiali dell’Asia minore, sullo stile di vita che devono avere le comunità cristiane. Nel discorso d’addio, Paolo si presenta come modello di apostolo e di pastore. La sua opera è realizzata grazie alla presenza efficace del Signore che lo ha reso apostolo predicatore del vangelo a tutte le genti, liberandolo da ogni pericolo di morte.
Per illuminare il suo itinerario apostolico, Paolo usa quattro metafore.
La prima richiama l’immagine della libagione: come il vino, che versato sul braciere, esala verso l’alto tutta la sua fragranza, così tutta la sua vita deve salire verso il suo Signore.
La seconda, la navigazione di cui Paolo si servì come mezzo di evangelizzazione: “E’ giunto il momento di sciogliere le vele”. È il momento in cui si chiude la sua vita terrena.
La terza, quella militare, allude alle tante battaglie combattute nel corso del suo ministero. Dopo le aspre lotte, le terribili persecuzioni e i vivaci confronti, Paolo ora raggiunge la serenità dell’incontro col suo Signore.
La quarta è metafora sportiva. Terminata la corsa, come ogni atleta giunto alla vittoria, anche lui raggiunge la “corona di giustizia”. Paolo contempla il suo domani con la ferma speranza che Gesù lo libererà per sempre dal potere delle tenebre.
La gioia di essere Chiesa apostolica, una-santa-cattolica, è quella di costruire una comunità di credenti capace di cantare la fede radicata nella speranza e vissuta nell’infaticabile spirito di carità. Possiamo comprendere il mistero della Chiesa se entriamo nella stessa esperienza degli apostoli. Essi furono testimoni della morte e risurrezione di Cristo perché veri discepoli del Maestro: nel condividere il dramma della croce vissero la fecondità della risurrezione.
Giuseppe Liberto